PUNK MENTALE - Jean Fabry
La Televisione Non Esiste * Mp3 *
13t-42:41
Celacanto * Mp3 * 8t-47:49
Fruga Nel Rusco * Mp3 * 16t-54:42
ROTOBALLE - Recensioni
Il «punk mentale» è la definizione che i
Jean Fabry, dal centro nevralgico della Bassa Romagna,
hanno coniato per la loro musica. Di fatto una terra di
nessuno tra punk attitudinale, folk, lo-fi, cantautorato
anche serio e liscio romagnolo. La band, costruita
intorno al cantante-compositore Antonio Baruzzi, vive da
una quindicina d’anni di una contraddizione irrisolta
che la rende pochissimo appetibile sul piano commerciale
(suoni alla terzultima moda, forma canzone raramente
svilita, dialettismi a profusione), eppure ogni volta
che il gruppo suona al vivo non manca di far innamorare
qualcuno. Perdutamente. Questo perché i Jean Fabry sono
vecchi, a rischio di estinzione, e quindi sanno
incantare come i lavori pubblici e le fisarmoniche piene
di polvere. Hanno un amore per la canzone veramente
d’altri tempi, e la sbilencaggine che ne consegue è
frutto di rifiniture minuziose su liriche, accenti e
costruzioni melodiche. Serpenti che si mordono la coda,
o più propriamente rotoballe che perdono i pezzi. La
loro musica è naif e sgangherata, incurante dell’abilità
strumentale e men che meno degli ammiccamenti. Le loro
canzoni sono orecchiabili e cervellotiche insieme,
“immediate alla distanza”. Un solo ep ‘regolare’ (su
Mescal nel 2005) e oggi spuntano sul loro sito web tre
album interi da scaricare gratuitamente, come vuole
l’accettazione, un po’ snob un po’ no, della logica da
perdenti imparata da giovani, nella sempiterna
ossessione per Jonathan Richman, i CCCP e le profondità
rurali della Romagna. “La televisione non esiste” è una
specie di greatest hits di brani cresciuti in casa ed
esplosi in deliranti eventi live. Da una titletrack
bertoliana e sarcastica (“Mi sento dare
dell’intellettuale se non parlo delle tasse”) alla
criptica ballad Parallelo, che trasfigura la malinconia
provinciale in viaggi verso altri mondi, passando per
l’anthem cubista-dialettale Zavaglio Generale, il
vortice ritmico La Distorsione Occidentale, i Pixies
ridicolizzati di Oppure?, l’epos crepuscolare dei Csi in
La Grande Tavana, senza dimenticare la leggiadria del
liscio romagnolo (Ghiandole, E Zir De Clomb). Il concept
album “Celacanto” è invece autentica “musica fossile”,
cupa e fatalista, dedicata a tematiche evoluzionistiche,
pur non priva di scosse e ritornelli a presa rapida (la
titletrack, La Deviazione), brillanti parodie
metamusicali (Il Punk Fa La Fine Del Blues) e
l’ineffabile errabondare interstellare del capolavoro
Lontane Autostrade Deserte. “Fruga nel Rusco” è la
raccolta di frattaglie che ti aspetti, ma che
soprattutto nella prima parte vale forse anche più del
resto: L’Ultima Cena Di Jena mescola new wave e
organetto, raggela e scoppietta brandelli di Grande
guerra, Mercatone è un inno alle nostre più mediocri
tentazioni, L'Egoland un assurdo surf-rock formato
giocattolo, ma più di tutto si imprime il minuto di
assoluta perfezione ermetica di Porno. Il voto non c’è
perché non ci rimettete una lira e perché e io mi tengo
stretta la mia anima, non si sa mai.
Federico Savini (
Blow up - Gennaio 2009 )
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